Di Barbara Gianetti Lorenzetti 23 settembre 2020 , 06:00 Cultura & Società CDT
La testimonianza
Oliver Latry, organista della cattedrale parigina di passaggio a Locarno, racconta come ha vissuto il drammatico incendio – «Sono fiducioso: riusciremo a riaprire il monumento nel 2024»
Un miracolo dentro l’apocalisse. Una sorprendente concatenazione di eventi che ha preservato dalla furia delle fiamme alcuni degli elementi artistici e liturgici più amati di Notre-Dame. Ancora oggi, a più di un anno dal drammatico incendio del 15 aprile 2019, Olivier Latry, organista titolare della cattedrale assieme a Philippe Lefebvre e a Vincent Dubois, fatica a spiegarsi come mai lo strumento maggiore dell’iconico monumento parigino sia stato risparmiato dal fuoco. «Eppure è successo. Così come con la statua trecentesca della Vergine, con la croce dell’altare maggiore, con il rosone del 1200». Latry lo incontriamo a Locarno, dove domenica scorsa ha tenuto un apprezzato concerto in Collegiata, organizzato dall’associazione Amici dell’organo di Sant’Antonio. Il solista – noto in tutto il mondo – non è nuovo a esibizioni nella regione. «Avevo già suonato a Gordola, a Brione sopra Minusio, ovviamente al Festival di Magadino. E ora a Locarno». Non solo. In coda all’esibizione in Collegiata, il rinomato organista si è concesso un’ora e mezza «in solitaria» sul Reina della chiesa di San Giovanni Battista a Solduno, restaurato di recente. «Una vera meraviglia», chiosa.
Olivier Latry davanti alla cattedrale parigina ancora integra. ©Son.
In tournée a Vienna
Ma torniamo al 15 aprile 2019, il lunedì della Settimana santa. «Quel giorno – racconta l’organista, titolare di Notre-Dame da una trentina d’anni – non mi trovavo a Parigi. Ero appena arrivato a Vienna, dove avevo in programma due concerti e una registrazione. Raggiunto l’albergo, non avevo nemmeno appoggiato le valigie che sul telefonino mi arrivò un sms da un amico, residente nella zona del Panthéon, quindi in posizione rialzata. Da lassù si era accorto del fumo e delle fiamme che cominciavano ad alzarsi dal tetto della cattedrale. ‘Notre-Dame brucia!’, mi scrisse. Inviandomi poi foto del rogo ogni 5 minuti e raccontandomi che, pur trovandosi lontano dal monumento, la forza del fuoco era tale che ne sentiva il rumore. Furono una serata e una notte terribili, apocalittiche».
Mai superati i 17 gradi
Tanta, dunque, la paura il giorno dopo. Il timore di scoprire che l’organo maggiore – alle cui cinque tastiere Latry siede da quando aveva solo 23 anni, dopo aver superato un severo concorso – fosse bruciato, che le sue 7.952 canne si fossero fuse. «Non vi dico la sorpresa e la felicità quando scoprimmo che lo strumento era stato risparmiato, che era praticamente intatto, salvo un po’ d’acqua finita all’interno della piattaforma e in alcune delle canne. Come mai sia successo, nessuno sa dirlo. Il crollo della guglia e del tetto hanno sicuramente permesso al calore di sfogarsi verso l’alto. Forse per questo diverse parti della cattedrale sono state risparmiate dalle fiamme. Certo, difficilmente riusciamo a spiegarci come mai il termometro dell’organo, dotato di memoria, non abbia mai superato i 17 gradi durante tutte le fasi dell’incendio…». Nei giorni successivi l’organista modifica i suoi programmi, per poter tornare almeno un giorno a Parigi. «Ci dirigemmo direttamente verso la cattedrale, ancora con le valigie in mano. Era Pasqua, una giornata soleggiata, bellissima. Arrivammo dalla parte delle torri e da quell’angolazione, in parte coperta da alberi in fiore, Notre-Dame pareva intatta. Sembrava che ci dicesse: ‘Sono qui da mille anni e vi rimarrò per altri mille’. Fu un’incredibile emozione».
La cenere e la polvere
L’organo maggiore non è comunque uscito completamente indenne dalla catastrofe. «La cenere e la polvere di piombo si sono depositate su molte delle sue parti, danneggiando soprattutto quelle in pelle. Senza contare che dal giorno del rogo Notre-Dame è senza il tetto. La canicola dell’estate successiva e l’inverno seguente senza riscaldamento hanno lasciato tracce sullo strumento». Per poter intervenire si è però dovuto attendere che l’interno della cattedrale fosse sicuro. «Ancora oggi – prosegue Latry – non lo è del tutto. Però, finalmente, il mese scorso è iniziata l’opera di smontaggio, che proseguirà ancora per cinque mesi». Un lavoro certosino, visto il gran numero di pezzi. Poi comincerà il restauro vero e proprio dello strumento. Quanto durerà? Difficile dirlo. Nell’aprile del 2024, però, per il quinto anniversario dell’incendio, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l’intenzione di celebrare un Te Deum a Notre-Dame. «Sono fiducioso – afferma Latry – secondo me ce la faremo».
La musica in crisi pandemica
Intanto l’organista, come tanti colleghi (famosi e non), sta vivendo un periodo difficile. «Le cose vanno un po’ migliorando, ma all’inizio della pandemia è stato terribile. Mediamente tengo una novantina di concerti all’anno in tutto il mondo e, nel giro di pochi giorni, sessanta sono stati annullati di colpo. Ora c’è una timida ripresa, ma il futuro sarà comunque complicato, perché alla crisi sanitaria si stanno aggiungendo le conseguenze di quella economica. Meno pubblico, meno sponsorizzazioni e gli organizzatori si vedono costretti a cancellare gli eventi. Oppure a chiedere ai musicisti di accettare cachet ridotti, il che, alla lunga, non è di certo una soluzione. Tanto più che, in diversi paesi, la nostra categoria non viene presa in considerazione – oppure solo parzialmente – come beneficiaria degli ammortizzatori sociali pubblici». Tempi duri, insomma, anche per Latry, che sta aspettando di poter sedere nuovamente al «suo» organo. «Ma – conclude sorridendo – non lo chiamerei così: è l’organo di Notre-Dame, di cui io sono solo un umile servitore».